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Un contributo cattolico ad una lettura ecumenica della giustificazione per fede

Vent’anni dopo il dibattito tra l’allora cardinale Joseph Ratzinger e il professor Paolo Ricca, la Facoltà valdese di teologia di Roma torna ad ospitare un alto esponente vaticano, il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Un evento per l’ateneo valdese la cui aula magna, lo scorso 13 febbraio, si è riempita di un pubblico qualificato per competenze e rappresentanza sia del mondo cattolico sia di quello protestante – tra gli altri, erano presenti il vice direttore de “La civiltà cattolica” Giancarlo Pani, la presidente dell’Opera per le chiese metodiste in Italia pastora Mirella Manocchio, il moderatore della Tavola valdese Eugenio Bernardini. Ad introdurre Koch è stato il professor Fulvio Ferrario, decano della Facoltà valdese.

Quella del cardinale Koch è stata una lezione – che non ha previsto dibattito – molto densa e argomentata “Sull’attualità della dottrina cristiana della giustificazione”. Un titolo più che mai significativo perché intende situare la dottrina che sta alla base della Riforma del XVI secolo non in un ambito confessionale, bensì cristiano, patrimonio ecumenico tanto della chiesa cattolica quanto di quelle protestanti. D’altra parte, non si tratta di un tema inesplorato: nell’ottobre del 1999 luterani e cattolici hanno infatti sottoscritto la Dichiarazione congiunta sulla giustificazione per fede, «una pietra miliare – ha ricordato Koch – senza la quale non sarebbe stato possibile in questo 2017 pensare a una commemorazione congiunta della Riforma protestante».

Attingendo alla riflessione del cardinal Joseph Ratzinger – successivamente Benedetto XVI – e citando ampiamente il Nuovo Testamento, Koch ha mostrato come cattolici e protestanti condividano il carattere incondizionato e incommensurabile della grazia divina. L’essere umano, ha detto Koch, è caratterizzato da una “ricettività creaturale”: come nessuno può crearsi da sé, allo stesso modo nessuno può redimersi da se stesso, affidandosi per la salvezza alle proprie opere. «L’essere umano non è in grado di giustificarsi davanti a Dio, ma è Dio che lo giustifica, cioè lo accoglie». Da parte sua, l’essere umano deve semplicemente accogliere nella fede ciò che Dio compie.

Koch ha quindi evidenziato alcune questioni problematiche, alcuni nodi ancora tutti da verificare. Affermata la preminenza della grazia divina sull’operare umano, è possibile considerare una collaborazione dell’essere umano all’agire di Dio?, si è chiesto Koch. «La croce di Cristo – ha affermato il cardinale – non è solo il dono di Dio all’umanità, ma è anche il donarsi dell’uomo Gesù a Dio». Se Dio è relazione, questa relazione deve prevedere un doppio movimento – da Dio verso l’essere umano, ma anche dal basso dell’essere umano verso Dio. Questioni, queste ultime, che nella comprensione del relatore allargherebbero il dibattito alla ricerca di un consenso sull’antropologia, sull’ecclesiologia e addirittura sulla mariologia.

Koch ha quindi concluso affermando che “la dottrina della giustificazione per fede non divide i cristiani, li unisce”, anche se storicamente è successo il contrario. E a sostegno di questa convinzione ha citato una preghiera di Santa Teresa di Lisieux: “Non voglio ammassare meriti per il cielo; voglio lavorare solo per il tuo Amore …Al tramonto di questa vita, mi presenterò a Te, o Signore, con le mani vuote, perché non voglio domandarti di cantare le mie opere…voglio rivestirmi della tua Giustizia”.