profeta_geremia

Il nutrimento della parola

Poi il Signore stese la mano e mi toccò la bocca; e il SIGNORE mi disse: «Ecco, io ho messo le mie parole nella tua bocca»
Geremia 1, 9
Poi venne una nuvola che li coprì con la sua ombra; e dalla nuvola una voce: «Questo è il mio diletto Figlio; ascoltatelo»
Marco 9, 7

Il racconto della vocazione di Geremia mette in chiaro la relazione tra l’irresistibile chiamata divina e il temperamento di un uomo che non si sente all’altezza di questa chiamata. Geremia chiamato da Dio dichiara la sua incapacità ad essere profeta. È spaventato dall’enormità del compito assegnatogli da Dio: la sua nomina a profeta ha una dimensione universale che contrasta con il minuscolo villaggio nativo, e anche con la piccolezza del regno di Giuda. La sua voce deve raggiungere anche le nazioni pagane.

Perché il profeta è l’uomo della parola, Geremia giustifica la sua obiezione con il fatto che non sa parlare. Sa di non poter far affidamento sulle proprie forze di uomo giovane.

Attraverso un gesto eloquente, Geremia riceve le parole da annunciare: «Il Signore stese la mano e mi toccò la bocca; e il Signore mi disse: “Ecco, io ho messo le mie parole nella tua bocca”». Per sopportare la sua vocazione Geremia deve nutrirsi della parola. Essa deve diventare alimento sostanziale che il corpo del profeta deve assorbire, assimilare.

In altre parole, la parola deve prendere corpo nella sua vita diventando tutt’uno con essa, così come la Parola di Dio si è incarnata nell’uomo Gesù diventando tutt’uno con l’umano. In questo modo, tutto quello che uscirà dalla sua bocca non avrà più la valenza di una parola umana ma quella di una parola da parte di Dio.

In questo tempo natalizio risuona forte il messaggio della nascita di Gesù Cristo, la Parola di Dio fatta carne a cui dobbiamo prestare ascolto.                       

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