ingmar_bergman_behind_the_scenes_the_silence

Il senso della vita: per il credente è anche gioia

Il «senso della vita» non può essere che il senso della «nostra» vita; e ancora, la domanda più giusta sarebbe: «quali sono le cause che possono portare a spiegare che ci sono io piuttosto che un’altra individualità?». Da questi interrogativi, che si precisano nel corpo centrale e all’inizio dell’ultimo capitolo, muove l’ultimo libro di Eugenio Lecaldano, professore emerito di Filosofia morale alla Sapienza*. Il precedente (Senza Dio. Storie di atei e ateismo, 2015) partiva da un auspicio di cui i credenti dovrebbero tener conto: «Forse i tempi sono maturi – scriveva l’autore – perché chi crede in Dio e chi procede senza Dio (…) possano lavorare insieme per garantire la sopravvivenza della specie umana…». Il libro di cui si tratta qui, proseguendo questo filone di ricerca, presenta elementi di discussione accettabili, ma anche qualche visione che aggroviglia, anziché dipanare, la matassa degli intrecci fra fede religiosa e pensiero «laico».

È del tutto condivisibile, per esempio, condurre il ragionamento alla soggettività: non è pensabile un modello astratto di «senso della vita», che in altre epoche veniva individuato come valido per tutti e tutte. Cionondimeno, è altrettanto illusorio pensare che questa ricerca possa essere condotta solo in un ambito privato e personale: la ricerca è di tutti e tutte e si intreccia con quella, altrettanto legittima, di chi ci sta intorno, e verte in ultima analisi, essendo tutti noi animali «riflessivi», «sulla accettabilità e sensatezza» di quello che facciamo. Non solo, ma l’esito di questa ricerca, deve essere comunicabile agli altri, per non restare lettera morta.

Naturalmente una ricerca di questo tipo non sempre riesce a produrre risultati: gli accadimenti della vita da un lato spesso sfuggono alla possibilità di essere previsti (è il «caso», a cui nei Promessi sposi vediamo contrapporsi la provvidenza); e d’altra parte le leggi che li governano sono a volte difficili da scoprire e da interpretare. Le risposte saranno dunque provvisorie. Albert Camus paragonò questa continua ricerca al mito di Sisifo, in uno dei suoi libri maggiori: è come spingere un masso su per una salita, salvo vederselo rotolare a valle, ogni volta daccapo.

Di qui in poi Lecaldano affronta, come inevitabile, il confronto con le religioni, e lo fa partendo da un riconoscimento del tutto condivisibile, su cui ovviamente, da laico, fa pendere il suo scetticismo: ogni impostazione religiosa del problema, infatti, «comporta che il senso si trovi in un valore che è esterno alla singola vita, che la trascende e la sopravanza» (p. 33). «Ancora una volta (…) l’individuo realizzerebbe un valore solo negando le proprie finitezza, libertà e autonomia». E, dal suo punto di vista, giustamente rivendica di sostenere invece che «solo il riconoscimento completo della nostra soggettività e della nostra autonomia può permetterci di dare un senso alla nostra vita».

Ma sono poi così in contraddizione, queste due impostazioni? Qui mi sembra un po’ superficiale la visione dell’autore, che da un lato considera le religioni come un insieme coerente, anche se con maggior peso dato al cristianesimo (mentre in realtà le religioni rivelate, o «del libro», o fondate su Abramo differiscono radicalmente dalle religioni che invitano a scoprire nell’interiorità la via della verità); e dall’altro si ferma a uno degli aspetti più superficiali del credere: ritenere che fuori di noi risieda un principio superiore è senz’altro vero, ma non è tutto. E proseguendo nella sua severa disamina delle motivazioni della fede, ricondurre l’attrattiva della visione religiosa al fatto che tutti, uomini e donne, ci poniamo il problema della morte, è senz’altro vero, ma riduttivo. Fuorviante poi, parlando di fede cristiana (e qui il problema si pone per il cattolicesimo come per il protestantesimo e l’ortodossia), fare riferimento all’idea dell’immortalità. Altre sono le religioni, e anche qualche filosofia dell’antichità, a proporre questa visione: noi parliamo di resurrezione, che è un’altra cosa – sarebbe utile riprendere un titolo pubblicato dalla Claudiana nel lontano 1970: Ph. Menoud, Dopo la morte: immortalità o resurrezione?, che ben chiariva questa distinzione.

Altre questioni interessanti pone il libro. Per esempio il rapporto tra essere umani e altri esseri viventi, oggi all’onore del dibattito in ambienti ecumenici oltre che scientifici; il fatto che il senso dell’esistenza debba essere cercato con gli altri, e in una dimensione sempre più «plurale», che sappia tener conto della dialettica fra culture diverse (la pochezza della politica attuale – aggiungiamo noi –, cioè la sua incapacità di fare mediazione e sintesi fra le diverse visioni del mondo, non aiuta di certo questo processo); l’intreccio, forte e problematico, ma anche creativo, fra ricerca di senso e appartenenza identitaria.

Fa problema una visione, come si diceva, un po’ ristretta della fede religiosa, ma forse è difficile chiedere di più: è vero che le religioni tendono a sovrapporre, a volte perversamente, la ricerca di senso con la visione morale, l’essere con il «dover essere»; ma il cuore del messaggio evangelico è proposta di libertà. Ho l’impressione che l’autore si fermi sul portone di una cattedrale o di un tempio evangelico; si ribelli giustamente a una visione moralistica della fede, e si perda la gioia della fede. Ma a questo punto anche le chiese si devono porre il problema: non sono forse loro, quale più quale meno, a suggerire, soprattutto a chi credente non è, queste considerazioni? La tendenza a prescrivere, a normare, a proibire, a pretendere di gestire le anime non può che fare irrigidire. E d’altra parte la Riforma ci insegna che la l’autonomia assegnata alla coscienza del singolo non è la libertà dell’anarchismo e dell’«ognuno per sé». Bisogna spiegarlo. Ma su questo dobbiamo ragionare noi, facendo tesoro anche di libri come questo.

* E. Lecaldano, Sul senso della vita. Bologna, Il Mulino, 2016, pp. 147, euro 13,00.

Immagine: By Unknown – AB Svensk Filmindustri, from The Ingmar Bergman Foundation [1], Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=17550576