begum

Come un giornale può iniziare una rivoluzione

Si può dire che ieri l’altro si sia fermata una nazione intera per rendere omaggio ad una donna che ha saputo infondere speranza a intere generazioni di ragazze costrette a vivere e crescere in una società fortemente conservatrice e maschilista. E’ morta lunedì all’età di 91 anni a Dhaka in Bangladesh Nurjahan Begum, la prima giornalista del Paese e la fondatrice nel 1947 di “Begum”, la prima rivista femminile dell’intero subcontinente indiano, una pietra miliare nel percorso dell’emancipazione delle donne nell’area.

Il Bangladesh era ancora un protettorato britannico quando nacque il settimanale, il primo a ospitare anche immagini femminili e a pubblicare articoli scritte da donne. Una rivoluzione culturale totale per l’epoca che ha contribuito a formare intere generazioni di giornaliste e scrittrici, che trovavano in “Begum” il solo spazio pubblico concesso per far sentire la propria voce. Gli articoli, gli scritti hanno contribuito a far sentire le donne meno sole, a far riconoscere come comuni le battaglie che si combattono ogni giorno fra le mura domestiche, ad aiutare a trovare modelli possibili di conciliazione fra affetti e realizzazione professionale.

Stampata inizialmente in appena 500 copie “Begum” in pochi anni sarà sui comodini delle donne di mezza India, sui tavoli delle associazioni per la parità di diritti, sulle scrivanie dei potenti come sulle panche in legno degli ultimi, di donne e uomini musulmane o induiste, contribuendo a creare e rafforzare nel tempo una precisa identità femminile, assente dal dibattito pubblico fino ad allora.

La nazione, scrive la prima ministro bengalese Sheikh Hasina, «ha perso una grande figura». Sono state centinaia e centinaia le persone che sono accorse a rendere omaggio alla figura di Nurjahan Begum, senza distinzione di censo e professione. Ancora una volta un segnale tangibile della rivoluzione non violenta che un giornale e chi lo ha pilotato ha saputo offrire in quasi 70 anni di attività.

Moltissime le testimonianze che giornaliste e politiche, scrittrici e imprenditrici hanno voluto rendere a giornali e televisioni, per rendere il giusto omaggio a una figura capace di ispirare e infondere coraggio alle donne, nelle città ma ancora più nei villaggi rurali, dove la condizione femminile presentava e presenta spesso ancora oggi un gap importante nei confronti del mondo maschile.

Ayesha Khanom, presidente del Mahila Parishad, importante organizzazione femminista ha ricordato ai giornali: «Nurjahan ha lavorato per l’emancipazione femminile e contro il fanatismo religioso, la superstizione e l’arretratezza culturale. È sempre stata una donna moderna in un Paese troppo conservatore e maschilista».