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Dalla beidana al disarmo

La fondazione Centro Culturale Valdese propone in esposizione fino al 30 novembre la collezione di armi del Museo Valdese. Un percorso composto da oggetti bellici accompagnato da racconti, miti, narrazioni che contestualizzano l’arma in rapporto all’area geografica e al periodo storico che li ha tramandati. Sono oggetti che, prima di entrare a far parte della collezione, appartenevano a famiglie che, spesso, oltre all’oggetto avevano in custodia anche la loro storia e la storia delle persone che l’avevano posseduto.

Ce ne parla Samuele Tourn Boncoeur, responsabile del settore museale.

Le armi rimandano a narrazioni ed emozioni scomode da evocare, specie se associate alla storia di una comunità religiosa. Perché dedicare una mostra a questo?

«È una domanda che anche noi ci siamo posti in fase di progettazione, ma è stato il museo a rispondere per noi: uno dei nuclei collezionistici più numerosi e interessanti dal punto di vista qualitativo e quantitativo è rappresentato da armi di vario tipo. Ci sono armi bianche e da fuoco, di varie epoche, a partire dal XVI fino al XX secolo. Una collezione che caratterizza il museo sin dalla sua nascita, nel 1889, quando contava circa 150 pezzi, dei quali oltre la metà erano armi di vario tipo. Pur consapevoli della delicatezza del tema, abbiamo voluto provare a seguire due filoni: quello collezionistico legato agli oggetti e alla loro storia; e poi ciò a cui quegli oggetti rimandano nei vari periodi storici che hanno caratterizzato la travagliata vicenda valdese. Due filoni per far capire al visitatore come mai nel Museo Valdese sono conservate così tante armi».

Pensando alle armi e alla storia valdese, viene spontaneo il collegamento con la beidana…  

«Certamente la beidana è l’arma più emblematica del museo valdese, la mostra ne racconta l’origine e la diffusione su un arco cronologico molto vasto. Ne conserviamo otto esemplari e sono tra le armi esposte anche nella collezione permanente. Si ipotizza che la sua diffusione come arma sia partita intorno al XVI o XVII secolo, è stata sicuramente in uso per tutto il XVIII secolo. In collezione abbiamo frammenti datati intorno al 1500 e una ricca collezione legata ai valdesi che, nel ‘700, combatterono nell’esercito sabaudo a fianco di quelli che pochi decenni prima erano i loro persecutori. I valdesi impegnati in vari campi di battaglia, per esempio l’Assietta, molto spesso si portavano a casa le armi utilizzate, quindi abbiamo una collezione piuttosto corposa composta da armi da fuoco e bianche anche del XVIII secolo. Le armi più recenti esposte risalgono al tardo ‘800, relative a una fase storica in cui i valdesi erano inseriti a pieno titolo nella vita bellica del paese, e la tipologia testimonia il fatto che, dopo il 1848, i valdesi potevano aspirare a posizioni più alte nell’esercito».

La mostra è accompagnata da un catalogo che riassume i frutti del vostro lavoro…

«Si, in occasione della mostra abbiamo deciso di pubblicare il primo dei quaderni del patrimonio culturale valdese, edito dalla Fondazione Centro Culturale. Un progetto che ha preso avvio in concomitanza con la mostra sulle armi ma non è necessariamente legato a eventi di tipo espositivo. Prevediamo negli anni futuri di pubblicare altri quaderni legati all’attività di catalogazione.

Questo primo è diviso in tre grandi sezioni: il racconto di come si sia formata la collezione, del passaggio di questi oggetti dalle famiglie al museo e all’accrescimento della collezione; una parte storica con un saggio di Giorgio Dondi ed Eugenio Garoglio sulla beidana e ancora un saggio di Marco Baltieri sulla caccia nelle valli valdesi; dopo un inserto in cui pubblichiamo per la prima volta a colori alcuni pezzi e l’intera collezione di beidane, la seconda sezione riguarda la catalogazione attraverso criteri scientifici e contiene una serie di informazioni legate alle caratteristiche tecniche; nella parte conclusiva, sempre curato da Giorgio Dondi, abbiamo deciso di includere un glossario per aiutare a orientarsi in un tema molto specialistico e tecnico, come quello delle armi».

Di quali collaborazioni vi siete avvalsi per la cura della mostra?

«Abbiamo avuto una serie di collaboratori, tra tutti Eugenio Garoglio, esperto d’armi e collaboratore del Centro Studi e Ricerche storiche sull’Architettura Militare del Piemonte (CeSRAMP) di Torino. La mostra è il frutto di un lungo lavoro di catalogazione di ogni pezzo, iniziato nell’autunno del 2014 e durato alcuni mesi, perché ogni arma doveva essere studiata e collocata nel giusto periodo cronologico e nella giusta area geografica. La collezione è ampia e comprende in totale circa 200 pezzi; tutti sono stati catalogati, alcuni sono stati puliti o in parte smontati anche per portare alla luce parti che potessero aiutare a collocare l’arma in un periodo storico più preciso. Il risultato di questo lavoro ha portato alla mostra che, sottolineo, non è semplicemente un percorso che guida il visitatore verso un’evoluzione tecnica delle armi, ma le colloca nelle varie fasi storiche. Si inizia con i tragici fatti del 1488, poi si va al 1560, per passare attraverso le Pasque Piemontesi e poi il glorioso rimpatrio e la Balziglia; un grande nucleo di armi sono legati a questi fatti. Poi si sviluppa attraverso la presenza valdese nell’esercito sabaudo tra ‘700 e ‘800 e un’altra parte importante è quella legata al tema della caccia, che viene affrontata attraverso armi da fuoco e armi bianche, in particolare spade di cui abbiamo alcuni esempi piuttosto raffinati.

La mostra si chiude con un’arma particolare: non si tratta di un fucile o una spada bensì di un fazzoletto. È il fazzoletto che riportava un versetto biblico che portavano i giovani evangelici italiani nell’ottobre del 1983 in occasione di un’importante manifestazione per la pace e in favore del disarmo che si tenne a Roma, alla quale parteciparono numerosi valdesi delle valli e non. Abbiamo quindi voluto concludere questo percorso con un’arma atipica, scelta dai valdesi in quel momento per trasmettere il loro messaggio».